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Foto storica dell'esterno della Pieve

La Storia

«Sopra una collina, di fronte ad una piazzetta, si erge a ponente la bella e artistica – (un tempo!) - Chiesa in stile romanico dei SS. Giusto e Clemente a Balli, la quale trovasi mutilata di una navata.»

Pievano Antonio Bimbi - 1 dicembre 1934

Origini e ruolo della Pieve di San Giusto

La Pieve dei Santi Giusto e Clemente a Balli, situata nel territorio di Sovicille (Siena), rappresenta uno dei più antichi e significativi complessi monumentali della Montagnola Senese. Le prime attestazioni documentarie risalgono al XIV secolo: in una visita pastorale del 3 febbraio 1327, la chiesa è citata come Plebem Sancti Iusti et Clementis Vallis Strove, confermando l’esistenza di un’organizzazione ecclesiastica ben definita e di una comunità stabile gravitante intorno a questo edificio sacro.
 

La sua posizione strategica, a cerniera tra le pendici della Montagnola e la pianura di Toiano, garantì alla Pieve per secoli un ruolo fondamentale non solo come luogo di culto e amministrazione dei sacramenti, ma anche come centro economico e punto di riferimento per viandanti e pellegrini. La Pieve esercitava un’influenza significativa sulla viabilità locale e sul sistema insediativo del territorio, contribuendo al controllo e alla gestione di terre e beni agricoli.

Le descrizioni inventariali e pastorali rintracciate negli archivi ecclesiastici di Volterra e Colle Val d’Elsa testimoniano come già tra Quattrocento e Cinquecento la Pieve e la canonica presentassero una struttura articolata, con spazi destinati non solo al culto, ma anche a funzioni agricole, in linea con la natura rurale della parrocchia. Alcuni inventari attestano già dal 1520 la presenza di ambienti come sala, camera, loggia, cantina e orto, a dimostrazione di un complesso con caratteristiche residenziali e produttive integrate.

Dal degrado alle trasformazioni seicentesche

La storia della Pieve non fu sempre segnata dal decoro: la visita pastorale del 1423 descrive il pievano Bandino da Siena come responsabile di un grave stato di degrado. Secondo i documenti, il pievano vendette i tegoli del tetto, abbandonò il fonte battesimale al riempimento di detriti e arrivò persino ad affittare parti della chiesa a un cittadino senese, trasformando lo spazio sacro in un deposito di tini e botti colmi di vino. Queste vicende testimoniano una precoce vulnerabilità della Pieve, aggravata dalla difficoltà di manutenzione e dalle alterne vicende dei suoi amministratori.
 

Nei secoli successivi, la Pieve visse un’articolata evoluzione architettonica, espressione delle mutevoli esigenze della comunità e delle risorse economiche dei pievani. Tra XVI e XVII secolo, in particolare, la casa canonica fu oggetto di importanti ampliamenti. Un inventario del 1592 attesta la presenza di una sala, una camera con loggia, una cantina e una pergola con alberi da frutto, segno di un’attenzione al comfort abitativo e alle attività agricole. Nel Seicento, la Pieve conobbe un’epoca di rinnovato splendore grazie all’impegno del pievano Gioacchino Sabolini (1670-1682), che investì ingenti risorse per trasformare radicalmente il complesso: furono costruiti nuovi ambienti come il granaio, una stanza-studio, una dispensa, stalle, oltre a un giardino recintato ornato da agrumi e vigne di moscadello. Questa fase di ammodernamento, descritta con precisione nella “Nota de’ bonificamenti fatti in Casa” del Sabolini, rappresenta uno dei periodi di massimo sviluppo architettonico della Pieve.

Sopravvivenze e adattamenti tra Settecento e Ottocento

Durante il XVIII e XIX secolo, gli inventari continuano a documentare un utilizzo promiscuo degli spazi: residenza parrocchiale e attività agricole convivevano stabilmente, confermando la natura “autofaga” della Pieve, capace di trasformarsi a seconda delle esigenze del contesto rurale e delle disponibilità dei pievani. Un’ulteriore testimonianza significativa è la relazione dell’ing. Sebastiano Benini del 1836, che offre un quadro dettagliato dello stato di degrado e suggerisce interventi urgenti di consolidamento, restituendo un’immagine precisa della configurazione planimetrica del complesso.

Il Novecento

l Novecento segnò una nuova fase critica: nel 1918 la Soprintendenza predispose un progetto di consolidamento strutturale che, a causa della mancanza di fondi, non venne completamente realizzato. Un parziale restauro fu eseguito nel 1919 con il rifacimento di colonne e tetto, ma la terza navata (quella destra) non venne mai riaperta, lasciando la Pieve mutilata e vulnerabile alle infiltrazioni, come riportato da documenti archivistici e dalle descrizioni del pievano Antonio Bimbi nel 1934.

Gli anni successivi furono caratterizzati da interventi sporadici e insufficienti: negli anni Trenta venne ricostruito il campanile, poi parzialmente demolito nel 1939 per problemi strutturali; seguirono lavori di manutenzione su tetto, forno, pozzo e pavimenti, documentati fino agli anni Quaranta. Dopo i danni subiti durante la Seconda guerra mondiale, la Pieve beneficiò di materiali forniti come risarcimento danni nel 1944.

Negli anni Settanta, due importanti interventi segnarono la storia recente della Pieve: il primo (1976), diretto dal geom. Renzo Silvestri, prevedeva la demolizione e ricostruzione del campanile, il consolidamento dell’abside e la sistemazione della navata destra; il secondo (1979), progettato dal geom. Armando Vannocci, riguardò la canonica, con lavori estesi di rifacimento di coperture, solai, intonaci, infissi, impianti e pavimentazioni, per un totale di quasi 29 milioni di lire.

Nonostante questi sforzi, nel 1977 la Soprintendenza segnalò un uso improprio della navata destra e della casa canonica, trasformate in allevamenti avicoli con incubatrici, pollai e porcilaie, imponendo il ripristino urgente degli spazi alla loro originaria destinazione sacra e comunitaria. Questo episodio, tanto curioso quanto emblematico, testimonia la capacità della Pieve di adattarsi in modo sorprendente alle esigenze delle varie epoche, a volte in maniera decisamente impropria.

La rinascita

Oggi, dopo secoli di alterne vicende, la Pieve di San Giusto a Balli si prepara a scrivere un nuovo capitolo della propria storia: un percorso di rinascita volto a restituire al complesso la sua dignità originaria e a trasformarlo nuovamente in un punto di riferimento culturale e spirituale, capace di coniugare memoria storica e prospettive future.

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